La storia

Storia della Chiesa Parrocchiale di San Michele

Già agli albori del IV secolo, i primi cristiani orenesi condividevano con quelli di Vimercate una chiesetta dedicata al giovane martire romano san Pancrazio. Consolidatosi poi tra noi il cristianesimo, verso l’anno 386 i fedeli orenesi eressero una loro chiesa dedicandola a san Nazaro.

Nell’anno 452 Attila, il re degli Unni, invase l’Italia devastando Milano. Conseguentemente, dalla città, i vari monasteri, sentendosi minacciati, si trasferirono verso la campagna e fu così che un gruppo di religiose si insediò sulla nostra terra con il proprio monastero; quello delle Agostiniane.

Arrivarono poi, nella seconda metà del VII secolo, anche i Longobardi che stabilitisi sulla nostra terra si convertirono al cristianesimo. Pare sia da attribuire a loro la costruzione di una nuova chiesa che, fedeli alle loro origini guerriere, dedicarono a un santo ritenuto pure lui guerriero per aver sconfitto con la spada nientemeno che Satana: san Michele Arcangelo (chiesa che si menzionerà come la prima dedicata a quel santo). Con la costruzione della chiesa di San Michele, la precedente, dedicata a San Nazaro, passò a uso esclusivo delle monache Agostiniane.

L’anno di maggior interesse per noi è il 1214 in quanto si ebbe una serie concatenata di felici eventi. In quell’anno, infatti, due fraticelli francescani, a causa dell’eresia dei Catari di Concorezzo, si insediarono nel nostro territorio e, in seguito alla donazione di un terreno da parte della nobile famiglia dei Da Oreno, procedettero alla costruzione del convento e della relativa chiesetta dedicandola a santa Maria degli Angeli.

Arriviamo così al secolo XVI.

In ossequio alle direttive del Concilio di Trento (1545-1563) e sotto la direzione dell’arcivescovo san Carlo Borromeo (1560-1584) avvennero importanti mutamenti. Non furono più i cappellani mandati dalla pieve a guidare le varie comunità periferiche. Anche i piccoli paesi come il nostro, che contava allora circa 500 anime, vennero eretti in parrocchie. Così nel 1567, con la costruzione di una nuova chiesa, sempre dedicata a san Michele Arcangelo (la seconda), la comunità orenese acquisì l’autonomia. Questa chiesa venne restaurata nel 1748.
Come la precedente, era ubicata in fondo all’attuale piazza San Michele, piazza che a quel tempo ovviamente non esisteva, ed era posta con l’abside a est e la facciata a ovest.Nel 1857 avvenne la costruzione della chiesa come oggi la conosciamo.

Ecco la nascita della chiesa di Oreno secondo le fonti storiche raccolte da Mario Motta.

Quando don Giuseppe Leoni giunge a Oreno, novello parroco, in occasione delle festività natalizie del 1834, la prima impressione che ha è quella dell’insufficiente capacità ricettiva della vecchia chiesa parrocchiale.
Giovane, di soli trentacinque anni, don Giuseppe è pieno di buona volontà e recepisce subito l’immenso desiderio del “buon popolo orenese che da grande tempo sentiva che l’attuale sua chiesa parrocchiale non era più capace di contenerlo e ne bramava l’ampliamento, col quale se ne correggesse anche le rozze forme”.

Il nuovo parroco deve però constatare anche il grado di povertà delle famiglie contadine in questo periodo, esclusivamente dedite al lavoro dei campi e che vivono dei soli prodotti della terra, salve le debite eccezioni.

Non potendo provvedere subito alle opere materiali, il nuovo parroco incomincia con le iniziative strettamente spirituali: introduce così la pia pratica delle Santissime Quarantore fissandole per la domenica di Sessagesima, la seconda domenica prima dell’inizio della Quaresima.

Il parroco procede poi al conteggio dei suoi parrocchiani stilando, l’8 maggio 1838, lo Stato d’Anime della parrocchia, in sostanza un vero e proprio censimento della popolazione.

La chiesa parrocchiale, con il campanile, trovava ubicazione proprio dirimpetto alla villa Scotti, precisamente a sud, a non più di un centinaio di metri da essa.

Inoltre, tra la chiesa e la villa Scotti si frappongono la casa parrocchiale, il giardino del parroco, il muro di recinzione dello stesso e la via della Madonna diventata la nuova direttrice di collegamento tra Vimercate e Arcore, dopo la soppressione della precedente strada che tagliava in due il parco Scotti.

In paese i lavori di ristrutturazione della villa Scotti vengono momentaneamente sospesi prima per la morte del ticinese architetto Simone Cantoni (1818) che aveva messo mano ai lavori e poi per il decesso dello stesso duca Carlo Scotti avvenuto a Milano nel 1840. A quest’ultimo succede il figlio duca Tommaso che fa riprendere i lavori di ristrutturazione della villa affidando l’incarico all’architetto Gioacchino Crivelli.

Per illustrare gli avvenimenti che seguono faccio riferimento a una lettera precedente alla descrizione del progetto per il parco, datata 8 dicembre 1846, dalla quale è dato di intuire almeno una delle intenzioni del Crivelli: allungare piazza Scotti in direzione sud per dare più ampia visuale prospettica al palazzo, dotando così la villa di un decoroso ingresso.
In tale lettera l’architetto Crivelli comunica al duca Scotti di non aver potuto dedicare tempo ai disegni ordinatigli per il giardino, ma di avere studiato la situazione della chiesa parrocchiale traendo alcune personali considerazioni.
Egli dà ampia descrizione delle pessime condizioni in cui si trovano i manufatti costituenti l’attuale fabbrica della chiesa, insistendo sulle onerose e difficoltose opere di ripristino.
Esprime inoltre la sua disapprovazione riguardo a un ampliamento della medesima, ritenendo tale opera rischiosa dal punto di vista strutturale e improponibile dal lato estetico.
Più volte l’architetto Crivelli ritorna sul fatto che un ampliamento dell’attuale costruzione trasformerebbe l’edificio in una forma “più larga che lunga”.

L’architetto Crivelli muore e a lui subentra, nel 1859, l’ingegner architetto Franco Ruggeri che fa probabilmente sue le idee del Crivelli.

E cioè suggerire al duca di offrire al parroco una somma consistente affinché questi possa provvedere non alla ristrutturazione della vecchia chiesa ma nientemeno che alla costruzione di una chiesa tutta nuova in un’altra posizione, in modo da rendere libera tutta quanta l’area che occupano gli edifici di culto.
Pare che neppure un giorno sia trascorso dalle prime considerazioni del Crivelli.

Ecco allora la lettera del 14 aprile 1853, in duplice copia, indirizzata sia al parroco, lodandolo per l’amorevole dedizione alle “anime di Oreno” sia al Consiglio degli Estimati, con la quale il duca Scotti comunica la propria intenzione di donare la somma di £ 15.000 austriache per l’ampliamento della chiesa; nel caso in cui si decidesse di costruirla lungo la contrada della Madonna (l’attuale via della Madonna) con la facciata rivolta verso la piazza, l’offerta salirebbe a £ 32.000 austriache e, nell’eventualità in cui la scelta cadesse sulla seconda ipotesi, egli desidererebbe che gli venisse ceduta l’area dell’attuale chiesa a prezzo di stima.

La lettera si conclude ritenendo tale offerta valida solo nel caso in cui avessero inizio le pratiche di rinnovo entro tre mesi.
Da questo si può facilmente intuire che la demolizione della vecchia chiesa e casa parrocchiale e l’acquisto di tale area liberata consentirebbero al duca di allungare la piazzetta Scotti e di realizzare la visuale prospettica suggerita dall’architetto Crivelli.
I tre mesi di tempo concessi dal duca Tommaso sono decisamente pochi per una valutazione obiettiva e serena d’ogni aspetto di una così importante e gravosa decisione.
L’allettante offerta e il timore di non agire entro il termine utile prevalgono e il 25 giugno 1853 il comune di Oreno indice una seduta straordinaria del Convocato degli Estimati.

La proposta di ricostruzione ottiene 14 voti favorevoli e 5 contrari.

Sembra dunque che i progetti del Crivelli sulla nostra chiesa possano trovare una realizzazione, se non che pochi mesi più tardi, precisamente il 3 ottobre 1853, una lettera di reclamo viene indirizzata dal conte Borromeo alla Delegazione sopracitata.

Sin dalle prime righe si intuisce la chiara posizione del conte, il quale non è assolutamente concorde con la delibera del Convocato degli Estimati. Egli esordisce affermando che la chiesa di Oreno non è affatto fatiscente come la si descrive e che la problematica si limita alla capienza insufficiente per l’aumentata popolazione. Il conte Borromeo fa notare che tutti i paesi della Lombardia si trovano nella situazione di Oreno in quanto la crescita demografica è generale.

Oreno però, a differenza degli altri paesi – prosegue il reclamo – ha la fortuna di ospitare un’ulteriore chiesa (quella dell’ex convento di San Francesco) e quindi i fedeli potrebbero recarsi nei due edifici sacri, ricorrendo nei casi più estremi al vicino borgo di Vimercate.

Proseguendo, la lettera palesa i reali motivi dell’opposizione di Borromeo: infatti, se il comune non può sostenere economicamente l’opera, si andrà certamente a sopratassare gli estimati i quali già attualmente si trovano in pesanti difficoltà. Apprendiamo infatti dalla medesima scrittura come il paese di Oreno, in questo periodo, sia provato dalla siccità e da una malattia dell’uva che ne ha compromesso tutti i prodotti della vendemmia.

Egli continua ricordando alla Delegazione provinciale che metà degli oneri aggiuntivi cadono per diretta conseguenza sui coltivatori delle terre in affitto, “creando un malcontento che ogni prudenza suggerisce di evitare”.
Da queste frasi sembra di capire che al conte Borromeo, più che la chiesa in se stessa, interessi spendere il meno possibile e impedire al duca Scotti la realizzazione di un’opera, l’allungamento della piazza, che sancirebbe la sua supremazia sul territorio di Oreno. Opera questa, che il duca Tommaso realizzerebbe a spese di tutti gli estimati.

Da quanto si ha modo di capire dai pochi documenti relativi agli ultimi mesi del 1853 e ai primi del 1854, il reclamo del conte Borromeo non trova esito e, da una lettera dell’8 gennaio 1854, scritta dall’ingegner Mozzoni al parroco, deduciamo che non solo si prosegue col progetto della nuova chiesa, ma che i lavori di realizzazione sono già a buon punto.

Una delibera del 10 luglio 1854 riporta un importante intervento del duca Scotti il quale “per l’interesse del Comune rinuncia alla condizione che originariamente aveva imposta nella sua offerta dell’acquisto a prezzo di stima dell’area in cui insiste l’attuale fabbricato della chiesa e casa parrocchiale. Il Convocato degli Estimati in vista di questa generosa rinuncia, si obbliga di mantenere in perpetuo ad uso pubblico, sgombra di qualsiasi fabbricato e piantagione, l’area che verrà disponibile ultimata la fabbrica”.

Tale rinuncia, da ciò che si vede tuttora nell’area, ha di fatto consentito al duca Scotti di raggiungere ugualmente gli scopi che si era prefissato riguardo alla visuale prospettica, andando a generare, per naturale conseguenza, anche la piazza prospiciente che, anziché essere di sua proprietà, rimaneva pubblica.
Inoltre è dovere far notare che l’obbligo assunto dal Convocato relativamente alla rinuncia del duca Scotti è stato presto dimenticato; infatti, al termine della prima guerra mondiale, sullo sfondo dell’attuale piazza San Michele, proprio sull’area occupata dalla vecchia chiesa, viene eretto un monumento ai Caduti e vengono piantati due alberi ad alto fusto tuttora presenti.

La delibera del 1854 si conclude con un’ulteriore votazione con la quale gli Estimati si impegnano a sopratassarsi di 8 centesimi a partire dal 1855 per concorrere alle spese non sufficientemente coperte dal contributo del duca Scotti e dal fondo cassa della Fabbriceria.

Il 23 marzo 1855, la Direzione Lombarda delle Pubbliche Costruzioni, in una lettera indirizzata alla Contabilità di Stato, dà il suo assenso al progetto redatto dall’architetto Moraglia, suggerendo qualche modifica richiesta dall’ispettore Caimi.
Tali varianti riguarderebbero soprattutto l’estetica del lato della nuova chiesa rivolto verso la strada; egli suggerisce di rendere rettangolari le finestre che Moraglia ha ideato semicircolari. Caimi propone inoltre di rivedere la distribuzione interna dei locali della adiacente casa parrocchiale, perché risponda meglio alle esigenze di un’abitazione privata che è anche luogo per il ricevimento dei parrocchiani.

Di parere opposto a quello della Direzione delle Pubbliche Costruzioni è la Luogotenenza della Lombardia la quale, nel rapporto del 14 aprile 1855, risolleva tutti i problemi cui si è ovviato in precedenza, mettendo persino in discussione la necessità della realizzazione della nuova sacra costruzione.

Tale rapporto infatti esordisce con un’analisi dei prezzi delle opere e dei fondi disponibili per realizzarle.
Si evidenziano i costi reali, le offerte e in particolare modo la parte di denaro ancora mancante per la realizzazione totale.
La somma complessiva ammonterebbe a £ 66.027,22, un prezzo esorbitante che andrebbe a gravare, secondo ciò che si ritrova nella delibera del 1854, totalmente sull’estimo comunale.
Tale rapporto riporta tutta la questione della parrocchiale di Oreno al punto di partenza.

Solo tre giorni dopo, il 17 aprile 1855, la Fabbriceria, con una lettera indirizzata alla Delegazione Provinciale, si trova costretta a fare il resoconto di tutte le finanze di cui il paese di Oreno dispone per la nuova costruzione; si riesce quindi a sapere da questa lettera che le disponibilità economiche della Fabbriceria ammontano solo a £ 733,34 e che sarebbero state qualche migliaio di lire se si fosse tenuto conto dei materiali di recupero delle demolizioni, ma che tale somma era già stata considerata nel bilancio redatto dalla Luogotenenza.
A questa cifra vanno sicuramente aggiunte le £ 32.000 dell’offerta scritta dal duca Scotti e le promesse degli estimati. In questa lettera si fa riferimento, per la prima volta, anche alla popolazione del paese dalla quale si ritiene impossibile ricevere contributi in denaro, ma che già da tempo offre materiali da costruzione e mano d’opera gratuita.

Si comincia a prendere in considerazione molto seriamente il rapporto della Luogotenenza, tanto che, nel commissariale avviso del 9 luglio 1855 in cui si invita il parroco don Leoni a partecipare alla seduta straordinaria del Convocato degli Estimati, il primo punto dell’ordine del giorno è: dichiarare se sussista la necessità di procedere alla costruzione d’una nuova chiesa anziché ampliare l’attuale.

L’avviso prosegue con altri due punti da trattarsi in fase di adunanza: uno relativo alla possibilità, nel caso in cui si promuova la ricostruzione, di limitarsi per il momento alla sola opera della chiesa, l’altro in riguardo a eventuali delibere per i progetti futuri della casa parrocchiale e della torre campanaria, le cui spese graveranno quasi totalmente sull’estimo comunale.

Nonostante tutte le controindicazioni e gli avvertimenti suggeriti nel corso degli anni riguardo alle difficoltà economiche in cui si sarebbe inevitabilmente caduti per il sostegno di un’opera così onerosa, il 18 luglio 1855, con la seduta straordinaria del Convocato degli Estimati, si ha la definitiva delibera di approvazione della costruzione del nuovo edificio sacro.
Nella medesima adunanza si è inoltre deliberato in favore della costruzione della nuova chiesa e torre campanaria, rimandando a un successivo momento quella della casa parrocchiale e dell’oratorio della Confraternita.
Qualche mese più tardi, la Luogotenenza della Lombardia, la stessa che non molto tempo prima aveva suggerito di non imbarcarsi in un’impresa così onerosa, torna sulla questione di Oreno comunicando alla Delegazione Provinciale, il 15 novembre 1855, che il Ministero degli Interni, dopo aver attentamente studiato la situazione, ha autorizzato che si supplisca alle deficienze economiche del comune, gravando gli estimati con una sovraimposta di 8 centesimi per scudo d’estimo all’anno per un totale di tredici anni.

Nel frattempo, il 27 dicembre 1855, il Commissario distrettuale di Vimercate, aveva già esposto in pubblico avviso, la data e le modalità di partecipazione all’esperimento d’asta per l’appalto delle opere per “la ricostruzione nel Comune di Oreno d’una nuova Chiesa, torre e casa parrocchiale, non che d’un nuovo oratorio per la Confraternita”.

Da quanto si apprende da una lettera del 19 febbraio 1856, inviata dal Commissariato Distrettuale alla Deputazione comunale di Oreno, l’asta si è effettivamente svolta il 28 gennaio 1856, con l’aggiudicazione dell’appalto da parte del “capomastro Francesco Radaelli di Ruginello per la somma di lire novantanove mille per le opere di costruzione e di nove mille ottocento sessanta per gli oggetti di spoglio”.
Per quanto concerne il pagamento del capomastro Radaelli, l’intera somma viene divisa in sette rate: “la prima quando si sarà arrivati al cornicione interno della navata maggiore, la seconda quando sarà ultimato il tetto della chiesa, la terza quando sarà compiuta e resa al culto la stessa parrocchiale, la quarta dopo aver compiuto la torre campanaria e l’oratorio della Confraternita, la quinta dopo la costruzione della casa parrocchiale, la sesta ad un anno dalla precedente costruzione e la settima allo scadere della garanzia e della manutenzione gratuita, ovvero a due anni dall’ultimazione delle opere”.

Finalmente il 21 febbraio 1856 venne occupato il giardino del parroco per dare inizio alle operazioni di escavazione per erigere la nuova chiesa.

Il 28 febbraio 1856, in concomitanza con la visita pastorale in Oreno, monsignor Bartolomeo Carlo conte Romilli, arcivescovo di Milano, alle ore 12, dopo aver celebrato l’Eucaristia e amministrato la Cresima ai ragazzi del luogo, benedice la prima pietra della nuova parrocchiale. Tale pietra viene posta dal duca Tommaso Gallarati Scotti sotto le fondamenta del battistero, “di quel fonte dove la seconda vita del cristiano è donata”.
Posta la prima pietra e iniziati i lavori di costruzione del nuovo edificio era da pensare che tutto dovesse filare diritto. Ma non fu così.
Da una lettera del 28 marzo 1856, scritta dal procuratore Curioni, delegato dal conte Borromeo, e indirizzata all’architetto Moraglia, si deducono le motivazioni di quello che, dopo tutte le vicissitudini rivissute, si può considerare come l’ultimo tentativo del conte Borromeo di opporsi al progetto di ricostruzione della nuova chiesa.

In questa lettera, infatti, il procuratore Curioni chiede all’architetto la sospensione dei lavori di costruzione nella parte del cantiere adiacente al collatore delle acque piovane della casa colonica di proprietà del conte Borromeo, sino a un sopralluogo da accordarsi con l’ingegner Bianchi.

Il 9 aprile 1856 viene poi eseguito un sopralluogo dall’architetto Moraglia e dall’ingegner Bianchi, alla presenza del parroco don Leoni, del procuratore Curioni e del signor Giovanni Prina in qualità di rappresentante della Deputazione comunale. Dalla relazione stesa in quel medesimo giorno si evince che, considerata la totale regolarità delle distanze osservate dalla nuova fabbrica nei confronti del collatore delle acque piovane della vicina casa colonica, la richiesta di sospensione dei lavori sia da ritenersi non applicabile.

È curioso notare che, dopo tutto il succedersi di peripezie che avevano visto Oreno movimentarsi “come una vera metropoli”, in poco più di un anno la chiesa parrocchiale fosse già ultimata; infatti, il 6 agosto 1857, lo stesso arcivescovo, faceva ritorno ad Oreno per la consacrazione della nuova chiesa parrocchiale.

Il 6 Agosto 1857 il Monsignore preparava l’acqua lustrale e l’acqua episcopale da adoperarsi all’indimani e riconobbe le Reliquie dei Santi Pio, Severo e Valente destinate ad essere deposte nell’Altare maggiore del nuovo Tempio.

Intanto le campane annunziavano con allegri concerti la solennità del giorno seguente.

La mattina del giorno sei Agosto, alle ore sei e mezza, un numeroso Clero, presieduto dall’ottimo Signor Proposto Parroco Plebano e Vicario Foraneo di Vimercato, Don Pietro Tacconi, preceduto dalla Confraternita del Santissimo Sacramento, si presentava al Palazzo Ducale per levare l’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Vescovo Caccia, che preceduto da quattro Canonici, dal Maestro del Coro e dal Maestro delle Sacre Cerimonie, tutti colle rispettive insegne corali, si avviò processionalmente alla Chiesa da consecrarsi, ove ordinò ad un Diacono parato di accendere le dodici candele poste innanzi alle dodici crocette di marmo infisse nelle lesene del nuovo Tempio, e fermarsi da poi a custodirle.

Ad ognuna delle tre volte che il Vescovo passò innanzi alla porta maggiore del Tempio, dopo d’aver recitata apposita orazione, battè le imposte colla punta del Pastorale, esclamando: Levate, levate le porte perché entrar vi possa il Re della gloria. E chi è mai, rispose ad ogni volta il Diacono dal di dentro, questo Re della gloria? E soggiungeva il Vescovo: Il Dio forte, il Dio potente, il Dio d’ogni virtù, questi è il Re della gloria. Ed alla terza volta il Clero tutto aggiunse ad alta voce: Aprite, aprite, aprite.

Si aprirono le imposte ed il Clero col Vescovo entrò cantando. La porta venne rinchiusa.
Tutti s’inginocchiarono sul pavimento nel mezzo della Chiesa, e fu intonato dal Vescovo l’Inno invocatorio dello Spirito Santo, proseguito dal Clero a due cori.
All’Inno tenne dietro il canto delle intiere Litanie dei Santi, di mezzo alle quali, il Vescovo, ritto in piedi, con mitra in testa, col Pastorale nella sinistra mano, triplicatamente benedì colla destra, pregando il Signore di benedire, di consacrare, di santificare Egli medesimo la Chiesa e l’Altare.

Ciò finito, tutti s’avviarono processionalmente all’Oratorio di casa Scotti, ove l’Arcivescovo, coi suoi proprii assistenti, vestiti i paramenti bianchi, e infuso l’incenso nei turiboli, levò la cassettina delle sacre Reliquie dell’altare su cui l’aveva Egli medesimo esposta la sera antecedente, e preceduto dalla Confraternita e dal Clero con candele accese, venne alla nuova Chiesa la girò all’intorno al di fuori; fermatosi poi innanzi alla porta maggiore, ch’era stata rinchiusa subito dopo che n’era uscito il Clero funzionante, depose le santissime Reliquie su di un tavolo ben parato, e montata una tribuna ivi appositamente apparecchiata, lesse il discorso.

L’Arcivescovo riprese le sacre Reliquie, processionalmente entrando nella Chiesa col Clero e col popolo intonò un’invocazione.
Giunto all’altar maggiore, e scoperchiato il piccolo sepolcro, sito nel mezzo della mensa, destinato alle Reliquie dei Santi, lo unse ai quattro angoli col sacro Crisma, vi depose la Cassettina; poi unse collo stesso Crisma, in forma di croce, il rovescio del coperchio, e posta la malta benedetta all’ingiro dell’imboccatura del sepolcro, la chiuse cementandovi il coperchio, e sempre recitando ad un tempo stesso le prescritte formole ed orazioni. Poi l’Arcivescovo col pollice intinto nel sacro Crisma segnò del segno della croce il mezzo della mensa e i quattro angoli; incensò quindi l’altare, mentre il Clero cantava… una lode [omissis].

Allora l’Arcivescovo pregò il Signore Iddio a sempre aggradire i sacrificii che gli verranno offerti su quell’altare, e le orazioni che gli verranno innalzate in quel luogo; e di poi accompagnato dal canto alterno dei due Cori, segnò del segno della Croce, col pollice intinto nel sacro Crisma, la fronte dell’altare, e le connessure della tavola cogli stipiti nei quattro angoli, quasi collegandole, supplicando nuovamente l’Altissimo affinché i doni e i sacrificii che verranno offerti su quell’altare siano da Lui benignamente ricevuti, e per essi sian cancellate le macchie dei peccati del popolo, perdonate le colpe, concesse le grazie, tanto che ciascuno dei fedeli vi ottenga l’eterna salute.

Finalmente, rivolto al popolo, l’Arcivescovo lo benedì, ed il Maestro delle sacre Cerimonie, salito all’altare dalla parte dell’Epistola, disse ad alta voce:“L’Eccellentissimo e Reverendissimo in Cristo Padre e Signore Conte Bartolomeo Carlo Romilli, per la grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Arcivescovo di questa Santa Chiesa Milanese, dà e concede a tutti i Fedeli Cristiani che oggi visiteranno divotamente questa Chiesa ed Altare, da Sua Eccellenza Reverendissima consecrato, un anno di vera Indulgenza.

A quelli poi che negli anni avvenire sino in perpetuo visiteranno la stessa Chiesa ed Altare nel giorno anniversario della consecrazione, che sarà la terza Domenica di luglio, concede quaranta giorni di vera Indulgenza secondo la forma consueta della santa Chiesa. Pregate il Signore Iddio per lo stato felice del Santissimo Signor Nostro Pio per Divina Provvidenza Pontefice Papa Nono, e di Sua Signoria Eccellentissima e Reverendissima, e della Santa Madre Chiesa Cattolica”.

Monsignor Vescovo Ausiliare celebrò pontificalmente la Santa Messa della Dedicazione; e terminata questa, l’Arcivescovo fu, a Croce alzata, riaccompagnato al Ducale Palazzo Scotti.
Dopo il pranzo, rallegrato dai musicali concerti della Banda di Cavenago, Monsignor Vescovo Ausiliare, preceduto dalla Banda stessa, fu dal Clero condotto alla nuova Chiesa, ove cantò pontificalmente i secondi Vespri della Dedicazione; e sul finire de’ quali giunse l’Arcivescovo col suo speciale corteggio; e vestiti i paramenti rossi, portò processionalmente il Santissimo Sacramento per le diverse contrade del paese, e ritornato nel nuovo Tempio, collo stesso Augustissimo Sacramento benedì solennemente la moltitudine.

Con la consacrazione della nuova Chiesa parrocchiale, la festa del paese viene fissata non più alla terza domenica dopo Pasqua, festa del patrocinio di san Giuseppe, bensì alla terza domenica di luglio.